Viterbo, la bella che (non sempre) vuole essere visitata.
- Giano di Vico
- 17 apr
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 6 lug
Tra storia, accoglienza e resistenze: il paradosso della città dei papi
C’è una città nel cuore della Tuscia che sembra disegnata per essere ammirata, eppure non sempre sembra volerlo davvero. Viterbo, con i suoi quartieri medievali intatti, le terme naturali, la spiritualità profonda e i paesaggi dolci della campagna laziale, è un luogo che incanta. Ma dietro la facciata di pietra serena, qualcosa resiste.
Un po’ come una signora d’altri tempi, Viterbo accoglie gli ospiti col sorriso, ma senza troppo entusiasmo se restano a lungo.
Una storia da raccontare (ma con discrezione, grazie)
I testi di storia letteraria ce la consegnano come un crocevia di pellegrini, papi e studiosi, un tempo capitale dello Stato Pontificio, rifugio di eremiti e teatro di conclavi. Eppure, nei decenni più recenti, Viterbo sembra aver vissuto con fatica il passaggio da città appartata a meta turistica potenziale.
Il centro storico, uno dei meglio conservati d’Europa, resta in gran parte vuoto, punteggiato da cartelli “vendesi” e ristoranti che aprono e chiudono come le finestre d’inverno. La "Macchina di Santa Rosa" esplode di energia e visitatori ogni 3 settembre, ma per il resto dell’anno la città pare tornare al suo ritmo antico, quasi restia a essere interrotta.
Il turista sì, ma con moderazione
Da un lato, ci sono imprenditori e albergatori pronti a investire, progetti che vogliono far emergere la vocazione termale, iniziative culturali che provano a creare ponti tra passato e futuro. Dall’altro, una parte della popolazione guarda con sospetto a ogni tentativo di "valorizzazione" turistica.
C’è chi teme lo stravolgimento dei quartieri storici, chi paventa l’arrivo dei “forestieri” come minaccia alla tranquillità, chi vede nei B&B più una forma di speculazione immobiliare che un’opportunità. In alcune interviste apparse su testate locali, si parla apertamente di “turismo sì, ma senza perdere l’anima”. Una frase che sembra poetica, ma è anche profondamente ambigua.
Politica e visioni a metà
Le amministrazioni comunali degli ultimi anni hanno spesso alternato piani ambiziosi e tentennamenti. Dalla digitalizzazione dei percorsi turistici all’idea (abbandonata) di una funicolare per collegare la città bassa al centro, passando per eventi culturali ben riusciti ma poco strutturali, la sensazione è quella di un’eterna partenza ritardata.
E nel frattempo, altre città laziali — Civita di Bagnoregio su tutte — sono riuscite a imporsi con una narrazione più decisa, anche a costo di diventare un po’ "cartolina".
Viterbo può ancora scegliere
Il paradosso viterbese è chiaro: ha tutto per essere un luogo di destinazione culturale e termale internazionale, ma sembra più a suo agio nei panni di città che potrebbe... se volesse.
La vera domanda, oggi, non è se Viterbo diventerà una città turistica, ma che tipo di turismo vorrà accettare. Quello che consuma o quello che si prende il tempo di capire? Quello mordi e fuggi o quello che crea legami?
C’è un futuro, forse, in un’ospitalità gentile, consapevole, fatta di qualità e rispetto. Ma per imboccare quella strada serve una decisione collettiva. E un pizzico di coraggio.
È esattamente la fotografia della realtà viterbese, oserei definire Viterbo "La bella che non balla" e gli elementi per ballare ci sono tutti basterebbe mettere un po' di musica! Avere così tante risorse artistiche, storiche, paesaggistiche e non riuscire a trarne un beneficio non solo è un processo di autocastrazione sociale ma un' involuzione epocale. Auspico che la classe dirigente viterbese riesca a capire quale sarebbe l' effetto che porterebbe il turismo in una culla d' arte come Viterbo se il problema, che invece dovrebbe essere una soluzione al problema, venisse studiato, pianificato,progettato e messo in esercizio. D' altronde il viterbese è un campione significativo della compagine nazionale dove tutti sappiamo, sul bilancio dello Stato, qual' è l' incidenza delle…