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🌉Civita Castellana: dove la storia si fa pietra e lo sguardo corre tra forre, fortezze e silenzi

  • Immagine del redattore: Giano di Vico
    Giano di Vico
  • 6 mag
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 21 mag




Sospesa su un altopiano di tufo che domina le profondissime forre del fiume Treja, Civita Castellana è una città che non si attraversa: si scopre, si ascolta, si contempla. Un luogo dove la storia millenaria si fonde con la bellezza severa del paesaggio e dove, ad ogni angolo, si avverte l’eco di battaglie, preghiere, mercati, amori e rivoluzioni.




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Dalle origini falische alla grande Roma



Civita Castellana ha il cuore antico. Molto più antico di quanto appaia. Nacque come Falerii Veteres, capitale dei Falisci, popolo italico raffinato, fiero, alleato ma anche rivale degli Etruschi.

Le necropoli falische, disseminate nei boschi e nei crepacci che circondano la città, sono scrigni di corredi funerari, ceramiche decorate, oggetti d’oro e bronzo, oggi custoditi a Villa Giulia a Roma e nel Museo Archeologico dell’Agro Falisco, ospitato nello stesso Forte Sangallo.


Poi arrivarono i Romani. Conquistata nel 241 a.C., la città venne svuotata e costretta a rifondarsi in pianura (Falerii Novi). Ma l’altura sacra non fu dimenticata. Nel tempo delle invasioni barbariche, le sue mura tornarono a offrire rifugio. E da quel momento, Civita Castellana non smise più di vivere.




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La città dei Papi, dei Sangallo e delle strade imperiali



Nel Medioevo e nel Rinascimento, Civita Castellana fu crocevia di potere, fede e architettura.

Sede vescovile dall’epoca carolingia, ospitò papi in fuga, imperatori in transito, famiglie baronali in lotta.


Il momento di massimo splendore fu nel 1494, quando Papa Alessandro VI Borgia commissionò la costruzione del Forte Sangallo, affidandolo all’ingegno di Antonio da Sangallo il Vecchio, il “genio delle fortezze”.

Oggi il Forte è un luogo di memoria e poesia, da visitare in silenzio, come si fa con le cose che parlano piano.


Durante il Seicento e Settecento, la città si arricchì di ponti, strade, opere d’ingegneria: il Ponte Clementino, il Ponte Felice, la variante della via Flaminia. Civita era di nuovo al centro del Lazio, baluardo del Papato e porta verso la Maremma.




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Una città di arte, ceramica e maestria



Passeggiare nel centro storico è come aprire un libro antico con le pagine dorate dal tempo:


  • La Cattedrale di Santa Maria Maggiore, col suo portico cosmatesco, è un capolavoro del XII secolo. Qui, nel 1770, Mozart suonò l’organo. Fermarsi e ascoltare il silenzio, immaginando quelle note, è un gesto che vale il viaggio.

  • Il Palazzo Comunale e la Fontana dei Draghi raccontano un Rinascimento sobrio ma potente, fatto di pietra e armonia.



Ma Civita Castellana è anche terra di ceramica, tradizione avviata nell’Ottocento e cresciuta nel Novecento grazie alle mani esperte degli artigiani. Il rosso dell’argilla, il bianco delle stoviglie, il blu delle decorazioni sono parte dell’identità cittadina, ancora oggi viva tra botteghe e atelier.




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Tra forre, vento e orizzonti: il paesaggio che abbraccia



Civita è verticale. Guarda in basso, nelle forre profonde del Treja, e in alto, verso l’orizzonte dei Monti Cimini. È fatta di salite, discese, panorami aperti e archi d’ombra.

I belvedere naturali, gli scorci improvvisi, i silenzi improvvisi sono invitanti come una finestra dimenticata aperta su un mondo perduto.




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Tradizioni, devozione e memoria popolare



Le processioni, le feste religiose, le sagre dedicate alla ceramica e ai prodotti della terra, scandiscono il tempo del borgo con un ritmo antico.

La Settimana Santa, le celebrazioni per i patroni, le manifestazioni culturali che animano le piazze e i chiostri: tutto concorre a tenere vivo un senso di appartenenza profondo, che lega i civitonici al passato e li proietta nel futuro.




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Conclusione: un luogo dove restare un po’ di più



Civita Castellana non è un borgo da visitare di fretta. È un luogo che chiede tempo, attenzione e rispetto. Dove la storia è scritta nella pietra e le emozioni si trovano tra una ceramica decorata e un soffio di vento sul sagrato del Duomo.


“Civita non si mostra: si svela. Non si impone: si lascia cercare. E quando la trovi, è come ritrovare una parte di te che avevi dimenticato.”

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